Capo Di Stato Maggiore Esercito
La mia amica morte, con cui ho dialogato serena per così tanti anni, mi prenderà allora per mano, per accompagnarmi via. Anche lei mi sorriderà, ci conosciamo bene. Non avrò paura, né rimpianti o nostalgia. Anzi, camminerò leggera con lei, con curiosità. Chissà se davvero mi porterà in un altro mondo, con cavalli e monti e praterie. Se finirò nel nulla. O tornerò farfalla o bruco, o filo d'erba, assai contenta, dove non passa l'uomo. Chissà. Morire bene, serenamente, dormendo, mi aiuterà a chiudere la vita in pace. Accompagnata, senza la solitudine feroce di giorni, o mesi, in rianimazione, intubata. In croce. No, voglio morire dormendo, a casa, lasciando sereni tutti quelli che ho amato. Disponendo bene per i miei dolci animali. E' così bello e consolante poter scegliere il giorno e l'ora. Certo, il più tardi possibile. Ma sempre finché c'è luce e dignità. La mia amica morte, che già mi ha sfiorato più di una volta, me lo ricorda sempre. Ma poi ci siamo messe a ridere: «Va bene, sarà per un'altra volta».
2. Apatia Le persone che decidono di "lasciarsi andare" perdono interesse per tutto: non hanno più voglia di prendersi cura di se stesse e spesso faticano anche a farsi una doccia. 3. Abulia L'apatia può portare all'abulia, ovvero all'inerzia e all'incapacità di prendere decisioni o iniziative. In questa fase, l'individuo può continuare a prendersi cura degli altri (ad esempio, dei bambini), ma smette di curare se stesso. Può sentire di avere la mente vuota e faticare anche a parlare. 4. Acinesia Si tratta di un deficit nell'avvio della sequenza motoria: si ha quando la persona in questione fatica a muoversi, diventa incontinente o non pulisce più la casa. Può diventare quasi insensibile al dolore, sempre perché non ha alcun motivo che la spinge a mettersi in salvo, a curarsi di se stessa. 5. Morte psicogena È l'ultima fase, che può verificarsi dopo quelle precedenti. E consiste nel perdere qualsiasi tipo di voglia di vivere o di attaccamento alla vita. Si possono fare anche dei gesti totalmente contro la propria salute.
E' morta la notte in cui non c'ero. Ancora ci penso, con un nodo in gola. Ma allora ero giovane, non potevo. Ora che conosco bene il dolore, forse sì. Ultimo aggiornamento: 21:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ci siamo aiutate a vicenda e ora andiamo al cinema insieme. Ultimamente ho ripreso a "lavorare a ferri" e mi gratifica vedere che riesco a confezionare qualcosa di bello… Ho tentato di diventare volontaria ospedaliera chiedendo di andare in un reparto dove ci fossero anziani, però dopo un po' di tempo ho dovuto rinunciare perché mi sentivo inadatta a consolare. Da circa un anno insegno italiano e le altre materie in un doposcuola per bambini extracomunitari, che non conoscono bene la nostra lingua e questo mi ha aiutato a riconciliarmi con i bambini sani. Io credo che il percorso psicologico con SOPRoxi e l'orto siano entrati nella mia vita nel momento giusto e assieme mi hanno aiutato ad avere ancora pensieri positivi. Sento che spesso sono felice e ringrazio, ringrazio per questa serenità che mai avrei pensato di poter recuperare. Maria
E la morte spesso "l'asseconda". Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui chi perde il proprio compagno, molte volte segue lo stesso destino. #Give -up-itis: when #people just give up and #die: Written by: John Leach, Visiting Senior Research Fellow, University of Portsmouth Everett Historical/ During World War II, when a cargo ship was torpedoed and sank in the North Sea, some... — Saeed Valadbaygi (@SaeedBaygi) 27 settembre 2018 Il fenomeno era conosciuto già ai tempi della guerra di Corea: i prigionieri smettevano volontariamente di parlare e di mangiare e morivano nell'arco di pochi giorni. Si sentivano sconfitti dalla vita. Proprio quando si prova questa sensazione di sconfitta e di voglia di abbandonarsi, si verifica anche, secondo il professore, un cambiamento dell'attività in una regione del cervello che ci motiva a prenderci cura di noi stessi. "I traumi possono danneggiare l'attività della cosiddetta 'corteccia cingolata anteriore' (quella parte del cervello che funziona per gli esseri umani da 'sistema di allarme' silenzioso, ovvero elabora pericoli e problemi, ndr).
È un posto di dolore, un posto dove vai a morire, quando i medici ti dicono che non c'è più nulla da fare e che manca poco. Perché è cosi, che spesso accade. Non c'è più nulla da fare, se non cercare di non sentire il dolore, quello fisico e non solo. E in Hospice è questo che fanno. Alleviano il dolore, al paziente e a chi gli è vicino. E ti accompagnano in questo tragitto doloroso e durissimo, accompagnano alla morte. E morire senza soffrire, ora so che non è poco. Le stanze hanno il nome di un fiore, ed il malato non è lasciato solo, mai. È seguito ed accudito, in modo amorevole, è un essere umano e non un numero. Un grazie di cuore a tutto il personale, dai medici agli infermieri, alle oss, ai volontari de La Libellula. Un grazie per tutte le amorevoli cure che sono state prestate non solo a mio padre ma anche a noi che abbiamo vissuto lì e lo abbiamo accompagnato. Un grazie da parte di tutti noi e di mio padre Alessandro Scanzaroli, stanza tulipano. Biancamaria